Insediamenti celtici in Italia
I primi riferimenti geografici relativi all’esistenza ed allo stanziamento di popolazioni celtiche in Italia ci vengono forniti dalle fonti classiche greche, nelle quali si annotava la loro presenza già dal VI secolo a.C. dalle sorgenti del Danubio fino all’estremo occidente d’Europa. Il rifiuto da parte dei Celti di affidare la propria cultura alla scrittura ha costituito però per molto tempo un serio problema per archeologi e studiosi. Si sapeva con certezza che importanti insediamenti erano presenti nel V secolo nelle regioni centro-europee situate tra il massiccio alpino e il confine meridionale delle pianure del Nord: questa cultura archeologica venne denominata di La Tène o lateniana (V, IV sec.), dal nome della località svizzera (vicino al lago di Neuchatel) nei cui pressi furono ritrovati numerosi ed importanti reperti quali armi, utensili, monili e monete. I ritrovamenti piemontesi (Castelletto Ticino, Novara) e lombardi (Sesto Calende e Golasecca, Varese) dimostrarono chiaramente che la celtizzazione dell’Europa era avvenuta molto prima della comparsa della cultura di La Tène nel V secolo. Dal IV secolo infatti ha avuto inizio in modo imponente l’invasione della Pianura Padana da parte di popolazioni galliche, seguendo sostanzialmente due direttrici: la prima e più importante coinvolse centinaia di migliaia di individui, i quali si stanziarono lungo tutto il territorio compreso tra le Alpi e la riva del mare Adriatico fino ad Ancona, scacciando Etruschi ed Umbri; la seconda, non meno importante, riguardò la tradizione in uso presso i Galli di combattere come mercenari, circostanza che li portò ad utilizzare la propria grande prestanza fisica ed il valore indomito, in tutte le guerre combattute per il predominio del Mediterraneo, servendo in particolare gli eserciti cartaginesi e quelli di Dionigi I, condottiero dei Greci di Sicilia. I Celti si sostituirono agli Etruschi nel controllo delle città da essi fondate quali Felsinea che si trasformò in Bononia (Bologna), Mantova, Spina e l’importante centro appenninico di Marzabotto (Bo), teatro in seguito di importantissimi ritrovamenti archeologici. Per l’autore classico Tito Livio l’invasione del nord della penisola avvenne in modo pressochè ininterrotto durante l’arco di due secoli. Gli ultimi pare furono i Galli Senoni, i quali guidati da Brenno parteciparono al sacco di Roma del 390 a.C. Livio riporta anche un passo interessante riferito alla fondazione di Mediolan, ovvero Milano, in cui l’orda gallica entra nel territorio degli Insubri attirata dal nome della tribù, identico a quello di un popolo facente parte della nazione degli Edui transalpini, e decide di insediarvisi. Da quanto finora esposto si potrebbero trarre due conclusioni circa la natura dell’invasione gallica della Penisola: secondo le fonti più antiche, e questa visione influenzò a lungo l’iconografia classica, i Galli furono visti come selvaggi invasori solo dediti alla violenza ed al saccheggio (pensiamo al sacco di Roma del 390 a.C. descritto in precedenza) mentre secondo versioni molto più recenti il fenomeno migratorio avvenne in modo lento e pacifico, dando la possibilità a popoli diversi di amalgamarsi senza traumi. Come spesso avviene, dobbiamo mutuare parte di entrambe le ipotesi, propendendo per una terza soluzione in cui trovano spazio scenari di aspro confronto militare ( la cacciata degli Etruschi dalla Valle del Po), ed evidenti riusciti esempi di coabitazione, come testimoniato dai ritrovamenti archeologici di Monte Bibele, presso Bologna, che ci mostrano sepolture miste tra individui di stirpe Gallica ed individui di etnia Etrusca, inequivocabilmente uniti in matrimonio. Ciò che risulta interessante sottolineare, è la collaborazione che si creò tra i primi coloni galli e le successive ondate migratorie, che si susseguirono fino a tutto il IV secolo. La comunanza di usi, costumi, lingua e culti religiosi, non fece altro che cementare accordi ed unioni fra le diverse nazioni galliche che si ritrovarono a fronteggiare unite prima gli Etruschi poi gli Umbri, Veneti ed infine la potenza espansionistica di Roma. Le popolazioni galliche riuscirono quindi per due secoli a radicarsi sul territorio dell’intera penisola italica, vivendo a contatto con le genti autoctone, integrandosi con successo e lasciando tracce indelebili che sono tutt’oggi riscontrabili nella cultura e negli usi di tutta la pianura Padana e con qualche elemento, anche nel centro e nel sud. Il destino dei Galli cisalpini si decise però, allorquando questi ultimi decisero di legare la propria sorte allo svolgimento delle guerre puniche che videro Roma opporsi alla nascente potenza militare di Cartagine. Le armate celtiche si schierarono con quest’ultima fin dal 263 nel corso della prima guerra punica, occupando sempre posizioni di prima linea durante le battaglie, contribuendo in modo determinante all’impresa di Annibale iniziata nel 221 con la campagna di Spagna e culminata nel 218 con la battaglia di Canne. Fu con le battaglie di Talamone ( 225a.C.) e di Clastidium ( Casteggio, 222 a.C.) che il sogno della grande Gallia Cisalpina unita terminò definitivamente. Già dal 243 i Celti della Pianura Padana avevano cercato, forse per una sorte di premonizione, l’appoggio dei fratelli d’oltralpe nel tentativo di opporsi in modo solidale alla minaccia espansionistica romana. Le soliti liti e faide interne impedirono che l’alleanza, che forse avrebbe cambiato l’assetto futuro della Storia, si realizzasse. A Talamone, una coalizione di Insubri, Gesati, Boi e Taurini si immolarono in una gloriosa ma inutile carneficina, troppo presi dal loro ardore guerriero per contrastare la gelida efficienza militare romana. Poco dopo, nella battaglia di Casteggio, i romani completarono l’opera infliggendo un ennesima cocente sconfitta alle tribù galliche, arrivando fino alle porte di Mediolano (Milano) e costringendo gli Insubri a tentare una resistenza disperata fuggendo sulle montagne, per non perire assieme alla loro capitale saccheggiata. Finiva così un’epoca che aveva visto fronteggiarsi fieramente per duecento anni le due differenti etnie. Piegate le tribù galliche del nord della Gallia Cisalpina, i romani si dedicarono alla disfatta ed all’annientamento di quella che era considerata la più potente fra le nazioni celtiche stanziate al disotto del fiume Po, i Boi. Prima di allora tutta la Valle e pianura Padana, erano considerate dagli stessi romani “Gallia”, il resto del territorio era “Italia”. Si hanno notizie di eroici e sfortunati tentativi di ribellione da parte di tutte le tribù galliche fino all’82 a. C., allorchè la Gallia Cisalpina venne dichiarata provincia romana, ma un’ epoca e la possibilità di una alternativa storica erano definitivamente tramontate. I Celti però non scomparvero. Gran parte dei loro guerrieri fu incorporato, il più delle volte a forza, nelle legioni romane contribuendo ai successi militari degli eserciti dell’Urbe, sui nuovi scenari bellici in Gallia Transalpina ed in Britannia. La classe dei produttori si inserì perfettamente nel tessuto sociale italico, portando con sé un nuove tecniche nella lavorazione dei metalli e degli utensili, ricreando il gusto artistico nella ceramica e nella decorazione. I druidi, poco alla volta, accettarono la nuova religione del Cristo, oppure si amalgamarono con la categoria medica, introducendo preziose nozioni e conoscenze nella preparazione dei medicamenti, e di loro si perse, forse, ogni traccia …