La danza delle spade
Su proposta ed indirizzo del dott. Filippo Maria Gambari, l’associazione Terra Taurina ha sviluppato la ricostruzione di ciò che, indicato dalle fonti scritte latine ( Livio, Storie, libri XX e segg.), accadeva nella II età del Ferro. Lo spunto è nato da alcuni petroglifi, in particolare dalla Val Cenischia dove è raffigurato un guerriero con la spada tenuta in alto e la mano libera appoggiata sul fianco. La peculiarità dell’immagine, esclusa da ogni contesto di combattimento, e la sua rappresentazione nel contesto delle rocce incise, quindi nel campo del religioso e del metafisico, lascia intendere un tipo di danza dalle forti connotazioni spirituali. La tecnica di combattimento dei guerrieri Celti prevedeva l’utilizzo, come descritto dalle fonti (Cesare, De Bello Gallico), di una fanteria leggera molto mobile, armata di lancia, giavellotti, spada e scudo, protetti, a seconda delle possibilità economiche del singolo individuo, da corazze di maglia metallica, corpetti di cuoio o elmi. Diventa quindi necessario assicurarsi che il guerriero abbia un compagno a difesa del proprio fianco, per non cadere vittima, nella sua singolarità, del nemico. Si è quindi introdotto l’elemento del “Patto con gli Dei”, ovvero la consacrazione del proprio essere guerriero, e quindi compagno fraterno nella tribù. La cerimonia avviene all’inizio della danza, nella quale i nuovi guerrieri, non ancora ammessi di fatto a pieno titolo nella tribù, sacrificano agli dei celesti e ctonii vino (Similmente al mondo greco) o idromele, di esclusivo colore rosso ad indicare il sangue. Se il patto verso la tribù verrà infranto, il sangue del traditore cadrà a macchiare il terreno, perdendo il favore degli dei, in un ottica di divino fatalismo che si riscontra spesso all’interno della civiltà Celtica (Cfr. Cesare, op. cit.). La danza prosegue nelle sue fasi somatizzando ed idealizzando i rapporti intertribali fino alla consacrazione dei danzatori come membri a pieno titolo della tribù. L’utilizzo di danze non è raro; compaiono nel famoso letto di bronzo di Eberdingen – Hochdorf, associate ad un contesto funerario, e in vari incisioni su roccia (in particolare: Roccia 15 di Vite-Val de Plaha (Paspardo) Val Camonica e Roccia 50 di Naquane (Capo di Ponte) Val Canonica), conservandosi in parte fino a noi in forma revisionata e mutuata nella forma della “Danza degli Spadonari” nella valle di Susa (Massimo Centini, La danza degli Spadonari, su Costume n.3, Giugno, Luglio 2002.).
Anche se nelle Alpi occidentali la danza degli Spadonari è spesso associata ai Saraceni anche nei costumi, per la tradizionale abitudine popolare di riferire a quest’ambito tutto quanto era ritenuto antico e “pagano”, essa deriva da un’antichissima tradizione guerriera particolarmente diffusa dalla fine del II millennio a.C. in ambito indoeuropeo. Nel mondo classico era nota la danza armata (“danza pirrica”) degli Spartani, ma la danza delle spade è un ballo popolare ancora oggi ricordato in Spagna, Germania, Inghilterra e Scozia, ma anche nei Balcani, nelle province Basche e in alcuni paesi exstraeuropei. Un elemento ricorrente è la disposizione dei danzatori in modo da formare delle figure: cerchi concentrici, spirali, ponti e volte formati con le spade. In Scozia, alla fine di ogni figura, le spade venivano intrecciate a formare una stella di cinque, sei o otto punte, e la danza si concludeva con la morte del “buffone” per decapitazione. Gli strumenti musicali tipici utilizzati vanno dalle cornamuse ai flauti ed ai tamburi, cembali e sonagli, ma anche strumenti a corda ed in qualche ambito trombe.
Pur risultando probabili varianti locali, l’origine della danza, tipicamente collocata all’inizio dell’anno e prima della primavera, per il mondo celtico intorno alla festa di Imbolc (1 febbraio), era connessa alla presentazione pubblica dei guerrieri, anche a scopo matrimoniale, all’accoglimento dei nuovi giovani al termine dell’addestramento, alla celebrazione o al rinnovo del giuramento che legava il giovane guerriero ai capi, alla confraternita ed alla comunità. L’esecuzione prima della stagione tipica delle attività militari collegava la danza a valenze diverse: l’invocazione delle piogge e della fertilità dei campi (ancora oggi gli Spadonari hanno spesso un cappello con fiori) e forse in qualche area anche sacrifici a questo scopo (ricordati in Scozia dalla morte rituale del “buffone”), la dimostrazione di agilità e capacità guerriere, il rinnovamento di patti d’alleanza anche con matrimoni scambievoli, l’invocazione della protezione divina per le campagne militari.
In generale comunque l’elemento caratterizzante appare la sacralità della spada, simbolo dell’attività e della fedeltà del guerriero, che non solo nella tradizione celtica resterà a lui personalmente legata tanto da accompagnarlo nella tomba o da essere offerta come dono votivo alle divinità soprattutto degli inferi, attraverso la deposizione su fondali lacustri o fluviali. Ancora nel mondo medievale la spada costituirà l’elemento con cui viene consacrato il cavaliere e, attraverso la cristianizzazione dell’elsa come croce, lo strumento di preghiera e di giuramento.
La spada è anche il simbolo del fulmine, richiamato ancora oggi in espressioni come “il balenio delle spade”, e come tale collocata, fiammeggiante, nelle mani di S. Michele così come nelle mani delle divinità del fulmine del mondo indoeuropeo dell’età del Ferro, dall’Anatolia all’Europa occidentale. Nella tradizione indoeuropea il dio del fulmine che sta sull’alto delle montagne (come Zeus sull’Olimpo) è ancora la divinità che protegge i giuramenti e punisce gli spergiuri. E’ quindi naturale che nel mondo alpino il dio celto-ligure che occupa la sommità dei monti e manda fulmini (variamente chiamato nelle iscrizioni come Albiorix, Peninus, Segomo Dunatis, Okelos…. con termini che significano “della montagna”, “che sta in alto” o simili), fosse variamente interpretato in età romana come Giove (per esempio al Gran S. Bernardo) o come Marte (più frequentemente, ed in particolare in Val di Susa) per essere cristianizzato come S. Michele, che oltre all’attributo del fulmine avrà in occidente anche la funzione di pesare le anime prima del Giudizio, denunciandone eventuali menzogne.
La danza delle spade diventava dunque nell’età del Ferro anche un rito di devozione alla divinità, con l’esplicito richiamo alla invocazione a garanzia della sincerità del giuramento. E’ probabile che a questo si abbinasse, subito prima della danza, proprio il giuramento dei giovani guerrieri, probabilmente attraverso la liturgia della libazione, in cui il patto viene sottolineato dall’offerta al terreno (alla divinità degli Inferi) di un sacrificio e di alcune gocce di vino, come nell’Iliade (III, 276-301), con il logico riferimento allo spargimento del sangue e della vita dello spergiuro in caso di mancata fedeltà all’impegno.
In Val di Susa, ai piedi del Rocciamelone, vera montagna sacra della protostoria e ritenuta a lungo anche nel Medioevo una delle cime più alte delle Alpi, incisioni rupestri dell’età del Ferro mostrano guerrieri danzanti con la sola spada in mano, secondo una iconografia che compare anche sulla stele del V secolo a.C. da Centallo (CN): è chiaro il collegamento alla tradizione sopravvissuta ancora oggi delle danze degli Spadonari, mentre le incisioni rupestri possono agevolmente essere interpretate come un ex-voto, una devozione, un richiamo alla fedeltà del giuramento guerriero.
Con la ricostruzione della danza delle spade non si può tendere a ricreare filologicamente un ballo che doveva conoscere innumerevoli varianti da paese a paese, ma, ispirandosi a passi comuni in molte danze delle spade attuali e raffigurati proprio sulle incisioni rupestri, si vogliono ricordare l’atmosfera della ritualità protostorica e le radici profonde del folklore nelle valli torinesi, riproponendo lo spirito, l’ideologia e la gestualità dei Taurini per ricollegare legami ormai dimenticati ma ancora vivi nelle pieghe della nostra tanto proclamata modernità.
Filippo M. GAMBARI