L’importanza archeologica de “La Maddalena” di Chiomonte
La storia dei primi uomini sulle Alpi Occidentali Italiane è una storia affascinante benché ancora povera in confronto alla ricerca promossa sull’intero complesso alpino.
Se i primi cacciatori paleo-mesolitici di 10.000-8.000 anni fa cominciano a frequentare stagionalmente alcune cavità in Valsesia e nella Valle Orco in Canavese, il Piemonte alpino si candida come luogo abituale di residenza alcune migliaia di anni piú tardi.
Il paesaggio della Valle di Susa, caratterizzato da versanti morfologicamente ricchi di spazi favorevoli alla colonizzazione da parte dell’uomo, ed inserito in un’area già allora privilegiata per lo spostamento interalpino di uomini e materiali, comincia a popolarsi: la ricerca sul terreno ha finora rivelato la presenza di oltre 50 siti frequentati o abitati dall’uomo tra il 4500 e il 500 avanti Cristo.
Il versante sinistro della Dora Riparia all’altezza di Chiomonte racchiude e concentra le migliori doti di abitabilità della valle: i grandi massi staccatisi dalle pareti rocciose soprastanti si sono accumulati formando vani adattabili a ripari o superfici di appoggio per capanne in un ambiente che gode dei vantaggi climatici di una nicchia ecologica: la persistente coltivazione della vite ne è la dimostrazione migliore.
In questa zona così favorevole era quasi ovvio che l’uomo decidesse di fermarsi: di lì a poco avrebbe preso vita il villaggio.
Tuttavia, la stessa continua trasformazione del paesaggio, accelerata da frane causate da fenomeni anche di natura sismica, ha sigillato col passare del tempo ciò che restava della piú antica presenza dell’uomo, bruscamente interrotta da un catastrofico terremoto.
L’ottima esposizione al sole del versante ha continuato ad attrarre l’uomo, che vi ha impostato perlomeno dal Medioevo la coltivazione della vite: alcuni grandi ripari sotto roccia sono stati riutilizzati, in parte nuovamente sottoscavati, per il ricovero di animali e utensili, e talora la superficie piana esterna ha a sua volta ospitato un’altra vite.
È probabilmente in questa assuefazione all’ambiente e nella sua stessa continuità d’uso che risiede l’indifferenza per un paesaggio spettacolare: solo le ricerche effettuate dal geografo torinese Carlo Felice Capello a partire dal 1947 avrebbero cominciato a svelare l’eccezionale importanza archeologica de “La Maddalena” di Chiomonte.
L’impatto ambientale del tracciato autostradale del Frèjus direttamente su quest’area ha imposto un intervento di salvataggio, che dopo dieci mesi di lavoro ha consacrato definitivamente questo villaggio di 6000 anni fa come uno degli insediamenti più importanti di tutte le Alpi.
Lo scavo, condotto dalla Cooperativa Archeologica Lombarda e dalla Società Arkaia su incarico della SITAF e diretto scientificamente dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte, ha coinvolto un’équipe di archeologi professionisti, il cui compito finale è quello di ricostruire la qualità della vita di questa antica comunità umana.
Pur nella ristrettezza di tempo disponibile, si sono raccolte migliaia di informazioni; il ritrovamento di ogni reperto è stato documentato; archeologi, antropologi, palinologi sono ancora oggi impegnati a far sì che nulla vada perso.
L’importanza e la vastità dell’insediamento vanno rispettate: la conoscenza del passato è la migliore garanzia per il futuro. Ma non tutto è stato distrutto: l’integrazione fra le esigenze dell’area come bene culturale e le esigenze tecniche del tracciato autostradale hanno consentito al paesaggio di sopravvivere così come fu conosciuto dall’uomo alcune migliaia di anni fa.
La parte restante dell’area archeologica de “La Maddalena” continuerà a vivere indisturbata accanto ai vigneti.
Gli scavi archeologici sugli abitati preistorici e sul sito medievale recentemente rinvenuti impongono ancora la creazione di un parco.
La tutela e la salvaguardia di quello che è un patrimonio di tutti spetta naturalmente a tutti: ma, primi fra tutti, spetta ai Chiomontini, ai Valsusini, ai turisti.