Trinuxtion Samonii
Il primo mese del semestre invernale, ovvero dell’anno scuro, sul calendario di Coligny è indicato come “Samon” o “Samonios” ed è certo che i Celti, sia continentali che insulari, dessero particolare rilievo a questo giorno ed alla notte che lo precedeva con una delle quattro grandi Feste delle Stagioni. Giunta fino ad oggi la tradizione di questa festa è anche conosciuta con il nome di Samhain (dal Gaelico sam-fuin, ovvero fine dell’estate).
Nella tradizione antica, la festa era chiamata Trinuxtion Samonii, ovvero Le tre notti di Samonios; anche qui, quindi, ritorna la sacralità del numero tre, e si pone grande rilevanza sulla natura “oscura” dell’inizio della giornata, identificato dai Celti come la notte. Questa tradizione è testimoniata anche dalla presenza, sul 17° giorno del mese nel sopra citato calendario, dell’iscrizione “TRINOX SAMO[ SINDIV = trinoxtion Samoni sindiu, “la festa delle tre notti di Samonios è oggi”.
Nella cultura celtica era in uso, per coloro che avevano grandi possedimenti terrieri o mandrie, forgiare dei contratti di affitto allo scopo di massimizzare l’utilizzo del bene di loro competenza (si tenga a mente che la proprietà della terra per i Celti era un concetto senza senso, poiché non riconoscevano il predominio dell’Uomo sulla Natura) creando quindi una clientela; tale nucleo, l’insieme di tutti i parenti e i dipendenti, comprendeva di solito dai 600 ai 1.000 uomini, anche se Verkingetorix li porta fino a 10.000.
Il grande proprietario terriero dà in affitto un terreno, in parte da pascolo e in parte coltivabile, e il numero di animali necessario per la coltivazione dei campi e per il sostentamento del cliente: in cambio ha, come tributo, un terzo del valore della proprietà affittata.
Durante la festa, poiché il Trinuxtion segnava anche la fine dell’anno agricolo e tutto il lavoro doveva già essere terminato, era abitudine dei clientes recarsi dal principe o dal rix (che erano abitualmente i proprietari dei terreni e delle mandrie) per portare i tributi dovuto per l’affitto dei campi e delle bestie; in questo momento, antecedente ancora alla festa vera e propria, venivano quindi regolati i conti, avvenivano gli ultimi scambi e si rinsaldavano i rapporti delle famiglie (tribù): anche per festeggiare con gioia questo ultimo momento di gruppo, quindi, venivano celebrati i riti del Samonios.
L’abitudine di regolare i conti con i proprietari terrieri rimane invariata anche ai giorni nostri; il detto “fare San Martino” per indicare la scadenza ed il rinnovo dei contratti agrari, quindi, proviene dall’abitudine dei celti (che seguivano i ritmi naturali delle stagioni) di far terminare l’anno agricolo a Novembre.
Come già si è detto la fine dell’anno chiaro e l’inizio del semestre invernale è identificata dal mese di Samonios: finisce l’anno agricolo, tutto il lavoro deve essere terminato oppure abbandonato per lasciare il posto a cose nuove, poiché l’accordo della tribù con la terra, in relazione alla raccolta dei benefici concessi dalla stessa, è scaduto, e il rapporto non riprenderà nelle sue prime fasi che a Imbolc.
Durante questo periodo il velo tra i mondi si assottiglia, ponendo il mondo terreno in contatto con i sìdhe del popolo fatato e dei Tuatha Dé Danann (secondo la cultura insulare) o semplicemente con l’aldilà, Antumnos, secondo la cultura continentale. Proprio in seguito a questa sfocatura ed al decadere di alcune delle leggi della natura, anche le leggi dell’uomo si fanno più sottili; vengono pertanto meno le leggi del comportamento socialmente accettabile, e si lasciano esprimere i sentimenti più animali: i giovani posso rovesciare i tavoli degli anziani, se sentono che le loro necessità sono state ingiustamente sottovalutate o liquidate e, indipendentemente dal loro prestigio sociale nel resto dell’anno, in questa notte le persone scortesi o non generose si trovano devastati i campi.
L’assottigliarsi del velo e la vicinanza con il mondo dell’aldilà genera sempre un misto di eventi gioiosi e di tremende sciagure, poiché il contatto non sempre porta alla pacifica convivenza tra i due mondi: le storie sono piene di epici saccheggi sotto alle colline, e più di un anziano ricorda ai giovani l’importanza di essere generosi con gli antenati e con gli spiriti, per non rischiare di attirare le loro ire o le loro maledizioni.
In quanto festa stagionale, anche in Samonios il falò ha un’importanza fondamentale, poiché attraverso il fuoco avviene la catarsi e il rinnovamento dell’anno: le mandrie sono già state poste nelle stalle invernali, tutti i raccolti sono al sicuro e il freddo abbraccio dell’inverno inizia a farsi sentire; la Touta si prepara a dover convivere con un mondo ben più simile all’Antumnos che oggi si intravede al di là del velo che non al caldo e gioioso mondo che è appena scomparso nell’ultimo tramonto dell’estate.
Durante il rito vero e proprio, che può variare di zona in zona nelle modalità, si riconoscono però alcune costanti, tra le quali spicca il corridoio delle anime: durante l’accensione dei fuochi del Samonios l’intera touta crea un corridoio quale invito per le anime dei loro defunti onde facilitarne l’accesso all’altra realtà. Volgendo lo sbocco del corridoio al roboante falò di fine estate si accolgono quindi gli spiriti di questo mondo e ci si appresta ad offrire loro cibo e doni atti ad alleviare il loro viaggio verso l’Aldilà e ad allietare un eventuale loro ritorno nel mondo dell’Uomo in un vicino futuro.