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La lunga via fuori dall’uscio

La Via prosegue senza fine
Lungi dall’uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Devo inseguirla ad ogni costo
Rincorrendola con piedi alati
Sin all’incrocio con una più larga
Dove si uniscono piste e sentieri.
E poi dove andrò? Nessuno lo sa.
La Via prosegue senza fine
Lungi dall’uscio dal quale parte.
Ora la Via è fuggita avanti,
Presto, la segua colui che parte!
Cominci pure un nuovo viaggio,
Ma io che sono assonnato e stanco
Mi recherò all’osteria del villaggio
E dormirò un sonno lungo e franco
Voltato l’angolo forse si trova
Un ignoto portale o una strada nuova;
Spesso ho tirato oltre, ma chissà,
Finalmente il giorno giungerà,
E sarò condotto dalla fortuna
A est del Sole, ad ovest della Luna

Con questi versi J. R. R. Tolkien, uno dei più grandi studiosi ed interpreti della cultura celtica di tutti tempi, coglie forse uno dei dilemmi più profondi dell’uomo contemporaneo. Cosa ne è della nostra eredità culturale, di quello per cui i nostri padri hanno vissuto e combattuto, fra gli incroci, le deviazioni e il trambusto della modernità? Nessuno che sia consapevole della complessità della questione saprà dare una risposta semplice a questo interrogativo.

Il punto è che la nostra visione sul passato è profondamente “inquinata” dalla modernità, dai suoi assunti e preconcetti, così che avere una visione “obbiettiva” sulle epoche storiche che ci hanno preceduto diventa quasi impossibile. Possiamo però trarre dai nostri antenati delle conoscenze che potranno essere di notevole utilità per il futuro, ed in questo sta forse il più grande valore della ricerca, e della ricostruzione, storica. Alcuni giorni fa mi trovavo a Birdoswall, presso i resti di uno dei più grandi forti di confine collegati dal Vallo di Adriano, e, cercando di trasmettere al pubblico in visita quello che sapevo sull’eredità culturale che i Celti ci hanno lasciato, ho capito una cosa.

Uno dei primi elementi a cui cercavo di dare rilievo era il fatto che, diversamente dalla civiltà romana, la cultura celtica è profondamente distante da quella che è la vita e la concezione del mondo dell’uomo occidentale contemporaneo, legata alla terra e a una spiegazione mitologica della realtà, piuttosto che incentrata sull’uomo e sugli strumenti con cui va ad alterare questa realtà in cui è gettato. Tutto questo mi ha fatto molto riflettere. Perché mai ostinarsi a studiare, ricostruire e trasmettere una cultura così distante da noi, di cui malapena conserviamo alcune descrizioni di seconda mano e alcuni magnifici, quanto contati, reperti? La mia passione per l’antichità e la mia repulsione per alcuni aspetti della modernità potevano essere una semplice spiegazione, ma continuavo a credere che ci fosse qualcosa di più. Ci ho riflettuto su ed ho capito che per me l’interesse per epoche e luoghi ed epoche così lontani da me non derivava solo dal gusto per l’esotico o dal bisogno di fuggire dal mondo in cui ero nato ma piuttosto dalla consapevolezza che, come ha affermato l’antropologo Clyde Kluckhohn”il giro più lungo è spesso la via più breve per tornare a casa”. Il più grande apporto che la civiltà celtica può dare alla contemporaneità deriva proprio dalla sua apparente distanza, dai suoi diversi usi e costumi che non cessano di insegnarci qualcosa su quello che, nei secoli, siamo diventati. Realizzare questo significa dare alla storia stessa un nuovo ruolo, né revisionista né accademico, ma piuttosto “vissuto”. Studiare la storia significa viverla, ri-evocarla, e far si che popoli e culture dimenticate tornino a parlarci e giocare un luogo determinante nell’epoca in cui viviamo, consapevoli che la via che percorriamo, in fondo, è la stessa dai nostri antenati.

Vindocamulo

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