Celti e Romani: uno scontro di ideali
Sfogliando un libro di storia qualsiasi possiamo notare come i celti vengano spesso trattati come una breve parentesi di una storia più grande, ossia quella dell’espansione dell’impero romano. Questa scelta è dovuta a diverse ragioni, tra cui la carenza di fonti dirette che parlino della cultura celtica e la grande rilevanza dell’impero romano e gli avvenimenti che lo caratterizzarono per sviluppo storico successivo. Ma, a ben vedere, il nostro interesse storico per l’impero romano deriva principalmente dal fatto che rappresenta una concezione del mondo molto vicina alla nostra. La stessa mancanza di una dettagliata codificazione dei principali avvenimenti storici presso i celti dovrebbe farci riflettere su un’ambiguità fondamentale del termine “storia”. Siamo abituati oggi a intendere la storia nel senso di “biografia”, come una serie di fatti ed avvenimenti ordinati linearmente su base cronologica. Conserviamo però, nel suo uso comune, anche l’altro significato di “storia”, ossia storia come narrazione, come racconto più o meno fantastico teso trasmettere un messaggio. Questo è probabilmente il senso di storia più vicino ai celti, che non davano importanza tanto al succedersi di determinati leader, conquiste o innovazioni, ma piuttosto al ciclico ripetersi di uno schema mitologico che ruotava attorno a un problema filosofico fondamentale: la relazione dell’uomo con la terra.
Se i romani vedevano nella terra puramente uno strumento utile a soddisfare i beni dell’uomo, nel mondo celtico era invece concepita in modo estremamente più complesso, dotata di una sua sacralità e vitalità interna, in grado di influenzare le scelte e le vite degli uomini. Con il disastroso impatto ecologico dello sviluppo industriale iniziamo forse a riacquistare consapevolezza di questo aspetto, pur vivendo in un mondo urbanizzato, dove il rapporto intimo tra uomo e natura vissuto dai celti sembra ormai perduto. Esiste infatti una differenza fondamentale tra i termini patria e madreterra, ed ognuno di essi rimanda a una diversa concezione del mondo. La patria significa infatti letteralmente la “terra dei padri” e rimanda all’idea che la terra sia una proprietà dell’uomo, che si tramanda di generazione in generazione. Parlare di madreterra al contrario ci spinge a pensare la terra come l’origine dell’uomo, come sua progenitrice a cui è strettamente legato e con cui è continuamente costretto a fare i conti. La mitologia celtica si sviluppa infatti attorno a dualismo fondamentale tra samos, la parte chiara dell’anno dominata dalle divinità solari, e giamos, la parte scura dominata dalla madre terra e le forze del mondo sotterraneo. Diversamente dalla mitologia classica dove i titani, le divinità terrestri, vengono sconfitte definitivamente e rimpiazzate dalle divinità solari (la vittoria di Zeus su Crono), nella mitologia celtica questa vittoria non si presenta mai come definitiva, e le divinità terrestri continuano a giocare un ruolo rilevante nel determinare la vita degli uomini (si pensi al fatto che Cerunnos, la divinità dei boschi e della natura selvaggia, sostituisce Lugh nel ruolo di consorte reale della dea madre nella parte scura dell’anno).
Tutto questo ci porta a vedere la sconfitta della tribù celtiche della Gallia Transalpina da parte di Giulio Cesare in una differente maniera, e a porci alcune domande. E se, per le popolazioni celtiche, unirsi sotto un unico vessillo per combattere l’invasore poteva significare anche abbandonare quell’irrinunciabile legame che ogni Touta intratteneva con la sua terra? E se strutturarsi in un esercito disciplinato sotto un’unica guida, per fronteggiare le legioni romane, avesse significato una rinuncia impossibile per un popolo dove nessuna delle classi sociali della Touta (guerriera, produttiva e spirituale) doveva essere subordinata alle altre? E se, pur sconfitti, i celti avessero continuato a combattere sul piano culturale, per impedire che legame indissolubile tra uomo e natura venisse dimenticato? Forse questi interrogativi non troveranno mai una risposta, ma trovo che, se non altro, sia importante rifletterci, visto che le disastrose conseguenze a cui la subordinazione della natura ai bisogni dell’uomo sono davanti ai nostri occhi.
Vindocamulo