Società e religione
In contrapposizione all’immagine distorta che veniva data di loro, in realtà le genti galliche poco avevano di selvaggio, se non il loro fiero modo di combattere. La stratificazione sociale celtica era già ben sviluppata e precedente la massiccia ondata migratoria del IV secolo; ogni tribù poteva contare su di un sistema fondato sulla tribù (per i Celti insulari) o Touta (per i Celti continentali), all’interno del quale vigeva quella che oggi chiameremmo “monarchia illuminata e parlamentare”. Il sistema sociale celtico infatti, prevedeva l’elezione del proprio condottiero (rix o rigo) non per diritto divino o di discendenza ma solo per acclamazione unanime, e dopo che quest’ultimo avesse dato dimostrazione concreta del proprio valore in battaglia e della propria saggezza e lungimiranza nell’amministrazione dei problemi della tribù. I produttori (mercanti ma soprattutto artigiani), costituivano l’asse portante della società celtica. Si deve ai Galli l’introduzione in modo intensivo della coltivazione del grano e della vite, l’allevamento dei maiali (tuttora importante risorsa dell’Emilia). Si ricorda la loro abilità come produttori di birra (cervogia) ed anche di vino (contrariamente a quanto finora supposto dagli studiosi, i celti conoscevano e consumavano il vino, una specie di lambrusco, secoli prima dei loro contatti con il mondo romano), l’ingegnosità nella lavorazione dei metalli, che li portò a sviluppare un’arte raffinata nella produzione di monili, fibule, torques ecc. , tradizione artigianale ancora viva e sviluppata in tutto il nord Italia, insieme alla lavorazione dei tessuti e della ceramica. L’aspetto religioso era di pertinenza esclusiva della loro classe sacerdotale, i Druidi. Essi, accertata la loro predisposizione, venivano istruiti ed addestrati per oltre venti anni, tramite un metodo di apprendimento basato solamente sulla modalità orale e sulla memoria, circostanza questa che spiega l’assoluta assenza di testimonianze scritte dirette sulla cultura celtica; tutto ciò di cui disponiamo quindi, lo dobbiamo alle fonti classiche latine e greche, dalle quali con una attenta lettura, riusciamo ad estrapolare fra le righe, dietro un apparente disprezzo ed orrore per il “barbaro”, anche una sorte di ammirazione per un popolo così risoluto ed attaccato alle proprie tradizioni, assolutamente sprezzante della morte al punto di cercarla apertamente in battaglia, spinto da quello che gli storici definirono” furor gallico”. E’ risaputo che i Celti conoscevano ed applicavano un principio universalmente riconosciuto, non scritto ma rispettato da tutti i popoli, che prevedeva l’assoluta lealtà durante le battaglie, il rispetto dei vinti con l’obbligo di non commettere atrocità su questi ultimi, l’onore legato alla parola data, il rispetto dei luoghi sacri.