Bere e mangiare tra i Celti: le fonti letterarie
Gli autori e le fonti antiche che descrivono lo stile di vita dei Celti sottolineano la loro passione per le grandi feste collettive, il cui momento culminante era proprio il banchetto: si trattava infatti di occasioni sociali in cui si esibiva e legittimava il prestigio, si celebrava i lvalore militare, si stringevano alleanze e si scambiavano doni. Posidonio di Apamea racconta: ‘Quando in molti mangiano insieme, si siedono in cerchio, ma sta nel mezzo, come il direttore di un coro, il più potente, colui che si distingue dagli altri per il valore in guerra, per il lignaggio o per la ricchezza. Vicino sta il suo ospite, e di seguito per ordine da ogni lato ciascuno secondo il proprio rango. E mentre gli uomini armati con scudo ovale stanno dietro, gli armati di lancia stanno di fronte in cerchio … lo schiavo serve percorrendo il cerchio da destra a sinistra; in questo modo è servito’ (Ateneo, I sofisti a banchetto IV, 152 b-d)
Che offrire banchetti fosse mezzo di propaganda politica, volta ad ottenere il consenso popolare, è testimoniato da due episodi significativi, anche se dalle cifre probabilmente esagerate: ‘Ariamne, che era molto ricco, promise di invitare a banchetto tutti i Celti per un anno, e compì la promessa nel modo che segue. In vari luoghi del territorio pose delle stazioni negli incroci più favorevoli, dove eresse, con pali di sostegno, canne e vimini, delle tende che potevano accogliere circa quattrocento uomini e anche più, secondo lo spazio richiesto dai luoghi per accogliere le masse in procinto di affluire dalle città e dai villaggi. Qui egli predispose dei grandi lebèti pieni di carni di ogni genere, calderoni che egli aveva fatto costruire l’anno precedente chiamando degli artigiani da altre città. Le vittime venivano macellate in gran parte il giorno stesso – tori, maiali, pecore ed altri capi di bestiame; grandi botti di vino erano pronte e una gran quantità di minestra d’orzo era stata mescolata. Non solo – continua Filarco – ne approfittarono i Celti giunti dai villaggi e dalle città, ma anche agli stranieri di passaggio gli schiavi di servizio impedivano di andarsene finchè non avessero assaggiato i cibi preparati’ (Ateneo IV, 150d-f). Ancora Posidonio, sempre citato da Ateneo, descrivendo la ricchezza di Louernion, padre di Bituitos, riferisce che per guadagnarsi il favore del popolo passava nei campi su un carro distribuendo oro e argento a migliaia di Celti, ma soprattutto mettendo a disposizione delle folle tini colmi di prezioso vino ed una grossa quantità di cibo (Ateneo IV, 152 d-f)
Il banchetto rifletteva inoltre il particolare legame dei Celti con la guerra: Diodoro Siculo, storico del I secolo a.c., ci informa che non solo ‘ai guerrieri più valorosi si rende onore offrendo i migliori pezzi di carne’, ma anche che durante i banchetti spesso scoppiavano violente risse e si ingaggiavano duelli personali (Biblioteca Storica V, 28, 4-5)
I Galli consumavano i pasti seduti a terra su giacigli di paglia o pelli, servendosi da tavole basse in legno (Diodoro V, 28, 4; Strabone, Geografia 4, 4, 3; Ateneo IV, 151e); gli scrittori greci e romani non hanno una buona opinione del loro comportamento a tavola: ‘Succede così che, quando essi mangiano, il cibo si ferma sui peli della barba e, quando bevono, la bevanda passa attraverso i peli come attraverso un filtro’, commenta Diodoro, meno drastico però di Posidonio: ‘Mangiano con raffinatezza, come dei leoni, afferrando (i pezzi di carne) con entrambe le mani e mordendo le porzioni intere’. Ma certo non si può dire che non fossero accoglienti: ‘Essi invitano anche gli stranieri alle loro feste, e fino alla fine del pasto non li interrogano su chi sono o sui loro bisogni’ (Diodoro V, 28, 5)
Quanto ai cibi e alle bevande tipici dell’alimentazione dei Galli, tutti gli storici sottolineano la loro predilezione per la carne, in particolare suina; Strabone, scrittore del I secolo a.c., loda la floridezza delle greggi, l’altezza, la forza e la velocità dei maiali dei Celti (4, 4, 3). ‘Il loro cibo consiste in poche pagnotte ma molta carne (bollita) in acqua oppure cotta sulle braci o con spiedi. Mangiano anche pesce d’acqua dolce e di mare, sia del posto che di fuori, sempre cotto alla griglia con sale, aceto e cumino’ (Ateneo IV, 151e-152b). Tipica bevanda dei popoli celtici è la birra, ottenuta dal frumento, che veniva bevuta schietta. Lo stesso facevano con il vino, destando lo stupore dei Greci e dei Romani che invece di berlo puro lo diluivano con acqua (e in più nonamavano affatto la birra) (Plinio, Storia Naturale XIV, 21, 149; Tacito, Germania XXIII, 163). ‘Il liquore bevuto presso i ricchi è vino che viene dall’Italia o dalla regione di Marsiglia, ed esso (è bevuto) schietto; solo ogni tanto vi aggiungono un pò d’acqua. Ma presso i più poveri si beve la birra fatta col frumento, preparata con miele, ma molti la bevono schietta; si chiama korma’ (Ateneo IV, 152c). Un’altra bevanda apprezzata dai Celti è l’idromele, ottenuto da acqua e miele, ‘che, invecchiando, prende il gusto del vino’ (Plinio XIV, 20, 113)
Certamente i contatti con il mondo mediterraneo ed i suoi raffinati prodotti esotici modificò le abitudini dei Celti anche a tavola: nell’adottare il gusto del banchetto alla maniera greco-etrusca, sostituirono la birra con il vino e unirono agli attrezzi per cucinare la carne prezioso vasellame bronzeo da simposio. Stando alla leggenda, sarebbe stata proprio la prelibatezza di alcuni prodotti mediterranei a scatenare l’invasione gallica dell’Italia: per convincere i compatrioti a tentare l’impresa, un etrusco di Chiusi portò al di là delle Alpi olio, vino e fichi (Dionisio di Alicarnasso, Antichità Romane XIII, 10-11; Livio, Storia di Roma V, 33, 2-6)
L’amore dei Galli per il vino diede luogo, oltre che ad un fenomeno culturale e commerciale ben documentato a livello archologico, anche ad un motivo letterario caro agli storici: ‘I Galli sono eccessivamente dediti al consumo di vino, che viene acquistato dalle loro parti da mercanti e bevuto schietto, e visto che ne consumano senza moderazione a causa della loro brama di esso, dopo averne bevuto entrano in uno stato di incoscienza e follia. Di conseguenza molti dei mercanti italici, per la loro abituale avidità di denaro, considerano l’amore per il vino da parte di questi Galli come la loro fortuna. Per loro trasportano il vino attraverso i fiumi navigabili per mezzo di barche e attraverso le pianure su carri, e ne ricevono indietro un prezzo incredibile: in cambio di un’anfora di vino essi ricevono uno schiavo’ (Diodoro V, 26, 3)
Anna Bondini
dipartimento di Archeologia di Bologna, sede di Monterenzio