Intorno al tavolo
Per i celti il cibo è legato a tradizioni, simbologie e anche un fiorente commercio. Da I Celti. Alle origini dell’Europa di Jan Filip
Stando alle autorevoli parole di Poseidonio, il cibo dei celti consisteva in pane e in grande quantità di carne, sia bollita che arrostita sui carboni ardenti o allo spiedo. Gli uomini staccavano la carne dall’osso con piccoli coltelli di ferro, che protavano sempre alla cintura assieme alla spada inguainata. Venivano serviti manzo e montone, ma anche maiale in salamoia e pesce salato affumicato. Il maiale era un piatto preferito, sia che fosse arrostito, oppure bollito in un paiolo. Le ossa di cinghiale o di maiale sono caratteristica comune delle tombe celtiche e costituiscono, probabilmente, i resti di banchetti funebri. Il pesce veniva cotto in acqua salata, con l’aggiunta di aceto e di semi di carvi.
Era uso sedere in cerchio per il pasto in numerosa compagnia. I celti mangiavano stando seduti per terra o su pelli, talvolta davanti ad un basso tavolino. Vi era una regola fissa di precedenza e di ospitalità che veniva rigorosamente rispettata. Il posto a sedere era conforme al rango e al valore: il posto d’onore era a capo tavola, nel centro. Agli stranieri si offriva da mangiare prima di discorrere di affari. Il cibo era servito su piatti di terracotta, di bronzo o di legno; talvolta veniva portata una caldaia piena di carboni ardenti, nella quale erano poste le pentole con i pezzi di carne cotta. In alcune feste incontri di lotta integravano il trattenimento. Talvolta la contesa simulata si tramutava in fatto reale, e venivano inferte ferite anche fatali; al vincitore veniva assegnata la coscia, la porzione migliore.
In Gallia la bevanda dei ricchi era il vino, che veniva bevuto puro o allungato con un pò d’acqua. Già nel VI secolo la classe dirigente si concedeva abbondanti libagioni, e in seguito, al tempo delle incursioni armate, ciò divenne un eccesso non più controllabile. Polibio rimprovera al guerriero celtico il su otroppo amore per il bere e il banchettare.
La maggior parte del vino veniva importata nella zona occidentale del mondo celtico dal sud, in anfore fabbricate in Provenza o a Roma, le quali furono spesso ritrovate nelle tombe dei notaibli celti. Ma l’uso del vino si diffuse, seppure in misura minore, anche tra la gente d’alto rango nelle zone dell’alto Dabunio, particolarmente nella Boemia.
Già nel V secolo giunse sino in Boemina un servizio da vino (un grosso vaso a becco e recipienti da Hradiste, presso Pisek) e nell’ultimo secolo a. c., quando l’influenza romana era molto aumentata nelle terre celtiche, le anfore di vino comparvero negli oppida, come Manching in Baviera e Hradiste presso Strdonice in Boemia. Per un lungo periodo il vino era stato importato dalla Grecia e dalla Francia meridionale attraverso Massilia e, in minor quantità, dall’Italia; dal II secolo in poi il vino italiano monopolizzò l’esportazione.
Il commercio del vino nella Francia meridionale passò completamente nelle mani dei mercanti italiani. L’occupazione della Gallia da parte dei romani corrisponde cronologicamente allo sviluppo della vinicoltura nell’Italia meridionale: la Gallia divenne pertanto un importante mercato d’importazione vinicolo fino all’inizio del II secolo.
La gente comune beveva birra di fabbricazione domestica ricavata dall’orzo, talvolta migliorata con l’aggiunta di luppolo. I semi di carvi erano anche un ingrediente nella fabbricazione della birra. Questa birra fatta in casa era chiamata korma.
L’olio era poco usato dai celti: si preferiva il burro, che si produceva in grande abbondanza.